Un altro blog

Ad un certo punto mi sono reso conto che se avessi dovuto aprire un blog per ogni cosa che mi piace, mi interessa o ho semplicemente voglia di condividere ne avrei dovuto aprire una ventina. Fino ad ora ho fatto così e la cosa non ha funzionato: troppe cose dette in modo troppo sparpagliato. Ora questo è il mio unico blog, senza fronzoli e senza pretese: qui c'è tutto quello che ho voglia di raccontare. Ciao.

ATTENZIONE

A quanto pare è successo qualcosa di strano e molte delle immagini presenti nel blog sono sparite, compresa l'intestazione. Non ho idea di cosa sia successo, forse è colpa delle scie chimiche che mi faccio davanti al pc.
Mi scuso per il disagio e cercherò di riparare i danni appena possibile, nel frattempo i post sono ancora on-line quindi potete leggerli lo stesso.

mercoledì 26 giugno 2013

Se scruti nell'abisso, l'abisso scruta dentro di te


Bello. L'acqua fredda del mare e salire su uno scoglio e fissare il costone di roccia 350 metri più in là e prepararsi a partire per fare 3 volte vai e vieni.
Sono in tutto due chilometri a nuoto, non ce n'è abbastanza per passare lo stretto, ma è sempre un bel fottìo di strada da fare.
Occhialini, tappi e via.

Nuotare al mare non è poi molto differente che nuotare in piscina, se non fosse per alcuni piccoli particolari che aumentano il gusto della sfida e che, se non ci sei abituato, possono metterti anche un bel cacazzo addosso, sopratutto se è tardo pomeriggio e mentre nuoti la luce va via via a diminuire e tu non sei esattamente vicino alla costa.

Prima cosa: l'acqua si muove. A volte è una tavola e ok, a volte improvvisamente becchi un punto in cui è mossa e solleva la sabbia del fondale in turbini minacciosi. Poi ti fermi a guardare dove sei e ti accorgi che è tutto ancora lì, ma nel frattempo per un secondo quella stretta alla gola l'hai sentita.
Aggiungete che non ci sono punti di riferimento immediati, per cui nuotate tranquillamente e ad un certo punto il fondale da due metri diventa quattro e allora vi chiedete dove minchia ve ne siete andati. In realtà è che la profondità, anche muovendosi parallelamente alla costa, non è costante. Lo sapete, sì, ma è un ulteriore motivo di stress.

E vabbè, questo ancora non è niente. Poi ci sono le strane cose sul fondale: corde, ammassi di alghe che rendono il fondale improvvisamente nero e impenetrabile, pesci vari e altre cose di cui parlerò alla fine perchè è il pezzo forte del post. Poi io sono anche un po' paranoico e mi aspetto di trovare che so, qualche cadavere di immigrato annegato nel tentativo di raggiungere la costa o qualche immondo animale.
Poi c'è il discorso visibilità. Oggi mentre nuotavo nelle acque limpide della pizzuta tutto in una volta l'acqua è diventata torbidissima, e quando intendo torbidissima intendo che non si vedeva altro che marrone impenetrabile tanto che non riuscivo nemmeno a vedermi le mani. Poi tiri fuori la testa dall'acqua e hai gli occhialini appannati e discerni a malapena il costone in lontananza, la spiaggia in lontananza e il nulla tutto attorno. E vai di nuovo col cacazzo: cos'è che rende torbida l'acqua? Forse il Kraken che smuove la sabbia sul fondo? Inquinamento radioattivo? Qualcosa di morto che si decompone sul fondale? Ok, questi sono gli ultimi istanti della mia vita. 

E vai di altre paranoie.
E allora che fai? Stringi i denti e continui a nuotare, tanto - lo sai - sono sì e no un centinaio di metri e poi la salvezza sulla terraferma.
Oggi è andata così, e proprio mentre ero a meno di cento metri dagli scogli, con il fondale che almeno era a tre metri, ho visto una cosa marroncina, grossa, molto grossa, sul fondo.
All'inizio mi era sembrata un'anfora o qualcosa di metallo arrugginito, poi ho guardato meglio e ho visto che quella cosa si muoveva. La prima spinta è stata quella di fuggire, ma ho resistito e ho rivolto lo sguardo nuovamente verso l'essere immondo: e allora mi sono accorto che la "cosa" era una fottuta tartaruga marina grossa come un vitello.
Non sapevo che ci fossero le tartarughe marine dalle nostre parti, in piscina certe cose non succedono. Lì è tutta una questione di collisioni umane e nel migliore nei casi culi femminili che emergono dolcemente dall'acqua qualche metro dopo la partenza.
Ciao.

ps: Federico, scusa per la citazione, ma suonava bene ;-)

domenica 23 giugno 2013

Datemi una Grafenwalder con la lattina nera come la disperazione e la morte



Volevo scrivere una poesia su quei momenti in cui in una serata sballona la natura chiama e ti cerchi un posto appartato possibilmente in mezzo alla natura per fare la pipì e guardare il cielo mentre sei sbronzo all'ennesima potenza e poi tornare cantando e saltellando a bere un'altra birra con gli amici.
Ma io non sono un poeta e il tema era difficile da declinare in maniera poetica, quindi ho deciso di lasciare perdere.

Datemi Mojito e Grafenwalder, piuttosto.
Una Grafenwalder da bere da solo, appoggiato al muro in piena notte quando la musica è stata spenta da un po' e tutti sono inquieti e se ne vogliono tornare a casa. E allora ti trovi appoggiato al muro in disparte a guardare nel vuoto sorseggiando la birra forte e scadente in lattina di alluminio nera come la disperazione e la morte, che ti strappa sorrisi amari mentre tutto lentamente va a puttane e non resta altro da fare che rimanere qui con la Grafenwalder e la tristezza.

E pensi "il mondo andrà in pezzi in 3..2..1.." ma tutto rimane com'è dopo il punto zero.
Che altro fare se non congedarsi e camminare da solo nella notte? A guardare i muri scrostati o contare i sassolini sul selciato o sentire il rumore dei passi e stare a osservare come si piegano i fili d'erba al vento e le lucertole che sfrecciano da un buco all'altro.
Qui non c'è nessuno.
A parte io che cammino da solo e la lattina di Grafenwalder che nel frattempo si è riscaldata e tutto che si fa più tenue e meno ruvido e spigoloso rispetto al solito e allora sì, non rimane che canticchiare gli Hekate e bere e aspettare.
Ciao.


martedì 18 giugno 2013

Quite Good New World - Parte I - Introduzione



Riprendere a postare sul blog dopo tanto tempo con un post sul nuoto sicuramente non è il modo migliore per attirare di nuovo la vostra attenzione, quindi non lo farò. Siccome non vado più in piscina sto nuotando al mare e oggi ho fatto giù per su un chilometro e mezzo. Non so in quanto tempo, ma vabbè.
Ve ne parlerò meglio un'altra volta.

Questo post apre invece una specie di rubrica che ho deciso di intitolare acsilanamente (nella prossima edizione dell'oli-devoto troverete anche questo nuovo termine) "Quite good new world". Ovvero, senza pretese di progettare un glorioso mondo nuovo, almeno uno migliore o un po' più migliore (licenza poetica) di quello in cui ci troviamo a vivere.
Ora, partire dalla constatazione che la società in cui viviamo fa abbastanza schifo è fin troppo facile, tutto sta nel cercare delle soluzioni, che essenzialmente possono essere di due tipi:

La prima è armarsi e fare una rivoluzione con sottofondo di ak47, abolendo la proprietà privata e passando ad un economia pianificata al servizio del benessere piuttosto che del profitto. Un po' sulla scia delle idee di quel tizio con la barba lunga che mi pare si chiamasse Carlo qualcosa, in pratica. Soluzione interessante e che sarebbe l'ideale, in effetti.

La seconda è mandare filosoficamente e praticamente a farsi fottere tutte le regole e le costrizioni della nostra società e il proprio "nuovo mondo abbastanza buono" farselo da sè, oggi, per se e pochi altri.
In questa rubrica (che potrà essere monopost o pluripost a seconda di quanto avrò voglia di scrivere) voglio approfondire nel dettaglio la seconda possibilità.

Per introdurre la cosa non posso che iniziare da un punto di vista strettamente personale, ovvero dal giorno in cui ho stipato il mio sacco di poche cose che sembravano utili - dimenticando la metà delle cose che effettivamente lo erano - per andare a visitare un ecovillaggio, per toccare con mano cosa significa vivere svincolato dal resto della società - e sottolineo che "svincolato" e "isolato" sono due termini diversi e ho usato l'uno e non l'altro con cognizione di causa. Ho visto e toccato con mano, ma non parlerò nello specifico di quello che ho visto lì (la cosa è irrilevante per voi, in fondo), ma della questione in senso generico.

Bene, essenzialmente un ecovillaggio è un insediamento abitativo che mira a essere autonomo dal resto della società, principalmente dal punto di vista alimentare e energetico. Significa che mangi quello che coltivi, produci energia con la legna e con i pannelli solari e con qualsiasi altro sistema autonomo, limiti gli sprechi e usi i rifiuti - inclusa la tua stessa cacca - per concimare il suolo su cui crescono le cose che mangi.
Questo comporta il fatto che, essenzialmente, si esce dal circuito lavoro - paga - acquisto di beni e servizi, e in tempi in cui il lavoro scarseggia, le condizioni di lavoro peggiorano e le tasse aumentano, questa scelta inizia ad apparire piuttosto attraente.
Una scelta che, comunque, comporta vantaggi e svantaggi rispetto alla scelta tradizionale fatta di trovalavoropagaletasseproduciconsumacrepa, che possono essere così sintetizzati, almeno secondo me: piccolissimo sforzo per procurarsi il necessario VS enorme sforzo per o impossibilità di procurarsi il superfluo. Per "superfluo" leggasi la lotus elise o l'harley che un giorno mi comprerò, ma anche le lomo, lo smartphone all'ultima moda, i vestiti che ci piacciono, il giro al luna park, il magnum infinity, le caramelle, la serata sballona a base di mojito e musica elettronica, la cena al ristorante, le birre trappiste ecc.
Il punto è che il superfluo è il 90% di quello che rende interessante la vita, ed è su questo punto nodale che tutto l'ambaradan entra in crisi.

Le crisi servono, però, a problematizzare, a riflettere e a superare le contraddizioni per trovare la soluzione ottimale. Che è, lo anticipo perchè è abbastanza ovvia, trovare un punto di equilibrio tra le due posizioni estreme sopra enunciate.
Questo è lo scopo di questa rubrica, sempre se non mi prenderà un nuovo attacco di inerzia mentale.
Alla prossima.