Un altro blog

Ad un certo punto mi sono reso conto che se avessi dovuto aprire un blog per ogni cosa che mi piace, mi interessa o ho semplicemente voglia di condividere ne avrei dovuto aprire una ventina. Fino ad ora ho fatto così e la cosa non ha funzionato: troppe cose dette in modo troppo sparpagliato. Ora questo è il mio unico blog, senza fronzoli e senza pretese: qui c'è tutto quello che ho voglia di raccontare. Ciao.

ATTENZIONE

A quanto pare è successo qualcosa di strano e molte delle immagini presenti nel blog sono sparite, compresa l'intestazione. Non ho idea di cosa sia successo, forse è colpa delle scie chimiche che mi faccio davanti al pc.
Mi scuso per il disagio e cercherò di riparare i danni appena possibile, nel frattempo i post sono ancora on-line quindi potete leggerli lo stesso.

martedì 18 giugno 2013

Quite Good New World - Parte I - Introduzione



Riprendere a postare sul blog dopo tanto tempo con un post sul nuoto sicuramente non è il modo migliore per attirare di nuovo la vostra attenzione, quindi non lo farò. Siccome non vado più in piscina sto nuotando al mare e oggi ho fatto giù per su un chilometro e mezzo. Non so in quanto tempo, ma vabbè.
Ve ne parlerò meglio un'altra volta.

Questo post apre invece una specie di rubrica che ho deciso di intitolare acsilanamente (nella prossima edizione dell'oli-devoto troverete anche questo nuovo termine) "Quite good new world". Ovvero, senza pretese di progettare un glorioso mondo nuovo, almeno uno migliore o un po' più migliore (licenza poetica) di quello in cui ci troviamo a vivere.
Ora, partire dalla constatazione che la società in cui viviamo fa abbastanza schifo è fin troppo facile, tutto sta nel cercare delle soluzioni, che essenzialmente possono essere di due tipi:

La prima è armarsi e fare una rivoluzione con sottofondo di ak47, abolendo la proprietà privata e passando ad un economia pianificata al servizio del benessere piuttosto che del profitto. Un po' sulla scia delle idee di quel tizio con la barba lunga che mi pare si chiamasse Carlo qualcosa, in pratica. Soluzione interessante e che sarebbe l'ideale, in effetti.

La seconda è mandare filosoficamente e praticamente a farsi fottere tutte le regole e le costrizioni della nostra società e il proprio "nuovo mondo abbastanza buono" farselo da sè, oggi, per se e pochi altri.
In questa rubrica (che potrà essere monopost o pluripost a seconda di quanto avrò voglia di scrivere) voglio approfondire nel dettaglio la seconda possibilità.

Per introdurre la cosa non posso che iniziare da un punto di vista strettamente personale, ovvero dal giorno in cui ho stipato il mio sacco di poche cose che sembravano utili - dimenticando la metà delle cose che effettivamente lo erano - per andare a visitare un ecovillaggio, per toccare con mano cosa significa vivere svincolato dal resto della società - e sottolineo che "svincolato" e "isolato" sono due termini diversi e ho usato l'uno e non l'altro con cognizione di causa. Ho visto e toccato con mano, ma non parlerò nello specifico di quello che ho visto lì (la cosa è irrilevante per voi, in fondo), ma della questione in senso generico.

Bene, essenzialmente un ecovillaggio è un insediamento abitativo che mira a essere autonomo dal resto della società, principalmente dal punto di vista alimentare e energetico. Significa che mangi quello che coltivi, produci energia con la legna e con i pannelli solari e con qualsiasi altro sistema autonomo, limiti gli sprechi e usi i rifiuti - inclusa la tua stessa cacca - per concimare il suolo su cui crescono le cose che mangi.
Questo comporta il fatto che, essenzialmente, si esce dal circuito lavoro - paga - acquisto di beni e servizi, e in tempi in cui il lavoro scarseggia, le condizioni di lavoro peggiorano e le tasse aumentano, questa scelta inizia ad apparire piuttosto attraente.
Una scelta che, comunque, comporta vantaggi e svantaggi rispetto alla scelta tradizionale fatta di trovalavoropagaletasseproduciconsumacrepa, che possono essere così sintetizzati, almeno secondo me: piccolissimo sforzo per procurarsi il necessario VS enorme sforzo per o impossibilità di procurarsi il superfluo. Per "superfluo" leggasi la lotus elise o l'harley che un giorno mi comprerò, ma anche le lomo, lo smartphone all'ultima moda, i vestiti che ci piacciono, il giro al luna park, il magnum infinity, le caramelle, la serata sballona a base di mojito e musica elettronica, la cena al ristorante, le birre trappiste ecc.
Il punto è che il superfluo è il 90% di quello che rende interessante la vita, ed è su questo punto nodale che tutto l'ambaradan entra in crisi.

Le crisi servono, però, a problematizzare, a riflettere e a superare le contraddizioni per trovare la soluzione ottimale. Che è, lo anticipo perchè è abbastanza ovvia, trovare un punto di equilibrio tra le due posizioni estreme sopra enunciate.
Questo è lo scopo di questa rubrica, sempre se non mi prenderà un nuovo attacco di inerzia mentale.
Alla prossima.

3 commenti:

  1. Il concetto di "autonomia rispetto al resto della società", espresso in altri termini, non è altro che soddisfare i propri bisogni escludendo il denaro dal processo, passando perciò da "lavoro-soldi-soddisfacimento" a "lavoro-soddisfacimento".
    E' chiaro che un obiettivo tanto ambizioso non sia di fatto raggiungibile al 100% se non al prezzo di un eremitaggio estremamente duro ed di una profonda vulnerabilità sia dei singoli individui che del progetto complessivo rispetto agli eventi imprevisti.
    Per questa ragione, probabilmente nessun ecovillaggio crede di potere raggiungere l'autonomia al 100%.
    A voler essere precisi, si può dunque dire che un ecovillaggio è un insediamento abitativo che TENDE a essere autonomo dal resto della società cercando di ridurre, attraverso l'autoproduzione, la necessità di scambi monetari con l'esterno, per quanto possibile.
    E' chiaro che questo tentativo passa anche attraverso la riduzione del "superfluo", ma anche in questo caso non è realistico parlare di totale rinuncia.
    Occorre puntualizzare infine -ma questo riguarda l'estesa varietà di esperienze che la definizione di ecovillaggio copre- che la gran parte degli ecovillaggi esistenti non mira affatto all'obiettivo dell'autonomia economica, ma fonda la propria ragione di esistere su altri valori e/o obiettivi. Alcuni esempi: la comunità di convivenza senza gerarchie; la pratica di particolari stili di vita; la divulgazione e sensibilizzazione alle tematiche ecologiste attraverso la pratica; l'adesione a culti religiosi o ad orientamenti spirituali.

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  2. Bentornato Ciccio. Ho una voglia matta di trasferirmi in un eco villaggio anche io. E sostanzialmente stavo facendo l'elenco delle cose di cui ho bisogno per trovare interessante la vita... ad esempio non riuscirei a vivere senA internet ma quello non ha un costo elevato in Realtà. . Considerando dove vivo, il mio attuale affitto etc avrei bisogno di meta del mio stipendio, e pensando a quando stavo a ct in un altro contesto potrei vivere con un quarto. Ma dovrei trovare il modo di guadagnare comunque qualcosa, a mio parere. Insomma produrre qualcosa per la società euro. Questo qualcosa potrebbe anche esseee un surplus del mio necessario. ..

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  3. però nell'ottica del tuo quite good new world, il primo passo potrebbe essere riuscire a vivere nella società in cui attualmente viviamo applicando il principio "the less the better" (less is more?). Però bisognerebbe sapere che si può continuare a pagare le tasse e lavorare quel tanto che basta per il proprio necessario, o se bisogna per forza svincolarsi dal sistema attuale, con il suo costo della vita spropositatamente alto. mi è appena venuto in mente un discorso che si faceva con alcuni miei colleghi: molti sviluppatori stanno fondando piccole aziende di consulenza informatica in paesi come la Tailandia. lavorano per meno, con meno progetti e in un ambiente più rilassato grazie al costo della vita spropositatamente più basso, ma con clienti occidentali.
    Ciccio continua a scrivere di questo argomento, mi interessa assai :)

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