Un altro blog

Ad un certo punto mi sono reso conto che se avessi dovuto aprire un blog per ogni cosa che mi piace, mi interessa o ho semplicemente voglia di condividere ne avrei dovuto aprire una ventina. Fino ad ora ho fatto così e la cosa non ha funzionato: troppe cose dette in modo troppo sparpagliato. Ora questo è il mio unico blog, senza fronzoli e senza pretese: qui c'è tutto quello che ho voglia di raccontare. Ciao.

ATTENZIONE

A quanto pare è successo qualcosa di strano e molte delle immagini presenti nel blog sono sparite, compresa l'intestazione. Non ho idea di cosa sia successo, forse è colpa delle scie chimiche che mi faccio davanti al pc.
Mi scuso per il disagio e cercherò di riparare i danni appena possibile, nel frattempo i post sono ancora on-line quindi potete leggerli lo stesso.

lunedì 20 aprile 2015

Tony Tesla e le domande che non fanno dormire.



Ho già citato più volte la famosa frase di un pensatore contemporaneo che una volta disse: ogni volta che sento le parole "senso della vita" metto mano alla pistola.*

Del resto, ci sono domande più interessanti, domande che se te le poni seriamente rischi di entrare im stato confusionale.
Ora, quando si parla dell'essere vivi, anche se pochi se ne rendono conto, non ci si riferisce all'insieme dei processi biochimici che comunemente chiamiamo "vita", ma alla cosa che a volte è chiamata "coscienza", "percezione di sè", "autocoscienza", "esserci" e via dicendo.

Quando i religiosi parlano della vita dopo la morte intendono in realtà la coscienza dopo la morte. Immaginano cioè di non avere un corpo ma tuttavia continuare a sentire, vedere, pensare ecc. Essere coscienti, non tanto essere vivi.

Ora, ovviamente io non credo alla coscienza dopo la morte, ma la cosa interessante è che anche la coscienza PRIMA della morte pone degli interrogativi non da nulla.
Ora, spiegarli con un linguaggio tecnico-bio-filosofico renderebbe questo post incomprensibile e di difficile lettura, quindi vi racconterò di queste domande immaginando una serie di esperimenti mentali che tutti possono capire.

Allora, la comunità scientifica è d'accordo sul fatto che la coscienza è una funzione cerebrale. Alcuni dicono "proprietà emergente" ma non cambia tanto, è una cosa che il cervello fa. Non sappiamo come ma lo fa.

Questa è una premessa necessaria.

Ora immaginate uno scienziato geniale e un po' psicopatico che decida di compiere una serie di esperimenti. Lo chiameremo Tony Tesla, così tanto per.
Allora, Tony Tesla è un chirurgo che riesce a fare trapianti di cervello e di pezzi di cervello o di qualsiasi altra parte del corpo. Inoltre ha a sua disposizione una macchina (che lui ha chiamato "replicatore") che è in grado di creare una copia esatta di qualunque cosa - persone incluse. Quando dico copia esatta intendo esatta a livello subatomico.

Ok, iniziamo.

Esperimento 1:

Tony Tesla crea una vostra copia esatta mentre state dormendo nel vostro lettino. Poi vi spara (perchè è psicopatico) e vi sostituisce con la copia. La mattina dopo la copia si sveglia ricordando di essere andato a letto la sera prima (è una copia ESATTA, per cui anche il cervello con i suoi ricordi, la personalità, le idee ecc è assutamente uguale). Per lui è una mattina come tante, nessuno ovviamente si accorge della differenza.
Ora, voi ci siete ancora?
No, direte, perchè lui vi ha sparato. Se non vi avesse sparato voi sareste una persona distinta la mattina dopo. Ok, però vi ha sparato e ora c'è la vostra copia. C'è stato un attimo in cui la vostra coscienza si è interrotta, ma è stato quando vi siete addormentati, non quando vi ha sparato. 
Voi tutti quando la mattina vi svegliate la vostra coscienza si riattiva, ma c'è un momento in cui non ci siete - quando dormite. Come fate a sapere di essere voi il giorno successivo?

Esperimento 2

Andiamo a cose più complesse. State sempre dormendo. Tony Tesla vi trapianta un altro cervello identico al vostro. La mattina vi svegliate, il vostro corpo è quello di prima tranne il cervello che è stato sostituito con uno identico. Il vostro corpo non è cambiato, il vostro cervello è identico a prima, solo gli atomi che lo compongono solo altri. Quindi si potrebbe dire che non è cambiato nemmeno lui.
Per voi non è cambiato nulla.
Siete ancora voi? Siete ancora vivi o siete morti?
E considerato che tutti gli atomi del corpo vengono comunque sostituiti in 5 - 6 anni, tra 5 - 6 anni sarete ancora voi o sarete morti e sostituiti gradualmente da una copia di voi?

Esperimento 3

Avete un tumore al cervello. Ma il mitico Tony Tesla ha fatto una copia perfetta della parte di cervello malata, solo senza il tumore. Ve la trapianta e voi guarite. Siete ancora voi? Siete voi solo in parte?
Poi vi ammalate di nuovo e di nuovo, e ogni volta Tony vi guarisce sostituendo la parte di cervello malata con una sana. Fin quando tutto il vostro cervello è stato gradualmente sostituito con un altro. 
Siete ancora vivi? Siete ancora voi?

Ora, ovviamente tutti questi esperimenti non possono essere fatti, non abbiamo ancora la tecnologia, e in più sono eticamente orribili e sarebbero comunque inutili. Voi continuereste ad asserire di essere vivi e vegeti e che per voi non è cambiato nulla. E non ci sarebbe modo di capire se è così o no, nessun esperimento potrebbe rispondere alla domanda.

Il problema è che c'è uno scarto incolmabile tra il mondo fisico e quello psichico. E che non ci capiamo una mazza di come sono correlati.
Ancora una volta, quando non c'è modo di rispondere a una domanda bisogna porsi il problema se la domanda abbia senso o no. Potrei chiedermi qual'è il colore della speranza e quante uova ci stanno nella settimana scorsa e non troverei mai la risposta. Perchè sono domande che non hanno senso.
Così come non ha senso chiederci "perchè esistiamo?" - a meno che non la si intenda in senso strettamente fisico ovvero "qual'è la catena causale di eventi che ci hanno portato ad esistere?" - o "qual'è il senso della vita?".

Tuttavia è arduo dire che le domande sulla coscienza non abbiano senso. La coscienza è una cosa rognosa perchè solo chi ne ha esperienza può dire che essa esista. Solo io ho esperienza del mio mondo interiore, delle mie sensazioni e dei miei ricordi. Ora, se io ho un'allucinazione e vedo gli unicorni che volano ovviamente esiste un processo cerebrale corrispondente al vedere gli unicorni che volano, ma gli unicorni che volano NON ESISTONO. Bene, questo potrebbe valere per la coscienza, può essere che io percepisco me stesso, c'è un processo cerebrale correlato a questa percezione ma può anche essere che IO non esisto, come gli unicorni.

Ma io non potrei percepire nulla se non ci fossi IO, e qui il terreno si fa paludosamente metafisico, ci si addentra in un mondo di loop logici e fanghiglia di concetti difficilmente definibili.

Forse ho sbagliato strada, io cercavo solo il ristorante cinese.

Ciao.

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*è una battuta, non prendetevela.

domenica 19 aprile 2015

Carota Meccanica - sulla libertà e il controllo sociale.



Con mio sommo imbarazzo devo ammettere di aver letto solo adesso - a trent'anni suonati - Arancia Meccanica di A. Burgess.
Ora, anche se penso che pochi di voi abbiano letto il libro, sicuramente molti hanno visto il film di Kubrick, o quantomeno ne conoscono la trama.

Se non avete fatto nè l'uno nè l'altro probabilmente dovreste.

Questa però non è una recensione del libro o del film, ma una riflessione sul suo significato e sul suo valore. Non come opera letteraria/cinematografica, ma come "parabola". Uso questo termine perchè lo stesso Burgess lo utilizzò parlando del suo romanzo e del suo significato:

"Il mio eroe, Alex, è veramente malvagio, a un livello forse inconcepibile, ma la sua cattiveria non è il prodotto di un condizionamento tecnologico o sociale - è una sua impresa personale in cui si è imbarcato in piena lucidità. La mia parabola, e quella di Kubrick, vogliono affermare che è preferibile un mondo di violenza assunta scientemente a un mondo programmato per essere buono e inoffensivo. Arancia Meccanica doveva essere una sorta di manifesto sull'importanza di poter scegliere".

Ora, se Burgess non avesse parlato del suo romanzo in questi termini io non starei scrivendo queste righe. Com'è mia abitudine avrei semplicemente preso questo capolavoro per quello che è, senza necessariamente dovervi trovare delle implicazioni etico/morali. Ma, dal momento in cui l'autore stesso definisce il suo romanzo una "parabola", voglio prendermi la briga di raccontavi quello che penso sulla posizione etica presa dall'autore di Arancia Meccanica.

E, lo dico subito, non condivido la visione di Burgess. O per lo meno, la condivido nel contesto del suo libro - se il mondo in esso ritratto fosse quello reale -, ma se messa in relazione con la realtà dei fatti essa perde subito consistenza.

Dunque, la citazione di Burgess si basa su due assunti fondamentali, e sono questi assunti che io contesto:

1)La violenza di Alex è una sua scelta lucida e libera.
2)Un mondo programmato per essere "buono" deve basarsi su un rozzissimo condizionamento pavloviano che ti fa venire il mal di pancia se pensi di fare qualcosa di male.

Vediamoli nel dettaglio.


Dal punto di vista psicologico il personaggio di Alex è piuttosto improbabile. Il 99% dei criminali esercita la violenza allo scopo di raggiungere un fine, e anche quell'1% di "mostri" - come vengono talvolta chiamati - non fanno eccezione, solo i loro fini sono più contorti.
Non voglio dire che non esiste libertà di scelta, ma che - la realtà non è mai netta e limpida come la fantasia - nessuna scelta è scevra da pressioni sociali e condizionamenti esterni.

Il comportamento umano è SEMPRE in parte frutto di un condizionamento, di un sistema di premi e punizioni (potremmo dire più tecnicamente feedback positivi e negativi) che viene ha ricevuto come risposta ai comportamenti durante la vita e lo sviluppo.
La maggior parte delle volte (e non dico "sempre" per cautela) chi si comporta in modo malvagio lo fa perchè quei comportamenti hanno ricevuto in passato dei feedback positivi, o dal suo ambiente sociale o dal gruppo di riferimento.

I teppisti la cui violenza appare insensata e fine a se' stessa spesso ricevono o hanno ricevuto dei feedback ben precisi che influenzano quello che fanno e non fanno: al di là dei vantaggi materiali (che possono anche non esserci), il bullo riceve il rispetto dei pari dopo aver pestato il malcapitato di turno, o la stima degli altri bulli e la garanzia di non diventare egli stesso vittima. 

Ora, vi chiederete cosa c'entra questo col condizionamento.
Beh, ci sono due tipi di condizionamento: quello pavloviano (il cane sbava quando sente la campana / Alex ha un malore ogni volta che pensa di commettere un atto violento) e quello cosiddetto "operante". Questo secondo tipo di condizionamento è quello che in qualche modo la società e i gruppi sociali mettono in atto verso i membri che ne fanno parte.

Per capirci, il condizionamento operante è quello che si usa per addestrare i cani: quando il cane ubbidisce gli si dà un biscotto come ricompensa. Ora, la nostra società funziona così: quando il bambino fa i compiti riceve il plauso e la stima degli adulti, allo stesso modo quando il piccolo criminale commette un furto riceve l'approvazione del gruppo e l'incoraggiamento a continuare. 

Quella che viene chiamata "educazione" non si differenzia molto nella sostanza dall'addestramento dei cani: se fai così avrai un premio, se fai cosà avrai una punizione. Che si tratti dell'educazione istituzionale o di quella criminale la sostanza è sempre quella.

Per cui, sebbene esistano scelte, non vi sono mai scelte completamente libere da condizionamenti.


Per lo stesso motivo, il secondo assunto di cui parlavo prima viene a cadere: la società è sempre "programmata".
Non esistono società "libere" e società "programmate", ma solo società programmate male e società programmate bene.
Una società può essere programmata per produrre individui corrotti, criminali, egoisti ecc. o per produrre individui onesti, rispettosi delle regole (non della legge in sè, ma quantomeno del principio secondo cui devono esserci delle regole), altruisti ecc.
Del resto, se la scelta di comportarsi in modo etico piuttosto che in modo criminale fosse il risultato di una libera scelta completamente individuale, i tassi di criminalità sarebbero più o meno omogenei in tutti i paesi del mondo. E non è così.

Ora, chiediamoci, le società "sane" sono programmate per esserlo? In gran parte sì, ma non con un rozzo sistema pavloviano, bensì con un raffinato sistema di feedback positivi e negativi. Ammortizzatori sociali funzionanti, sistemi economici che incoraggiano la collaborazione, benessere diffuso e via dicendo sono tutti sistemi "programmati" che invogliano il cittadino a comportarsi in un modo onesto, mentre la perdita di diritti, di beni e della libertà lo scoraggiano dal compiere azioni scorrette.

Nelle società corrotte, abbiamo viceversa feedback positivi per le azioni malvagie (arricchimento, impunità, rispetto) e negativi per quelle buone.
Per cui nelle società corrotte - come quella italiana, specialmente qui al sud - l'imprenditore che vuole pagare il giusto gli operai non può reggere la concorrenza degli sfruttatori e chiude baracca, chi rispetta le regole quando potrebbe trasgredirle impunemente è "fesso" e chi protesta davanti ai soprusi è "sbirro" e "spione" e "infame".

Un certo grado di condizionamento è imprescindibile in qualsiasi società. Le leggi col loro carico di premi e punizioni non sono altro che condizionamento, l'educazione scolastica è condizionamento, il rapporto coi genitori è condizionamento. A volte questo condizionamento è spontaneo e non pianificato dall'alto, a volte è il frutto di un oculato intervento di ingegneria sociale. A volte condiziona verso comportamenti che comunemente riteniamo "buoni" a volte verso comportamenti che riteniamo "malvagi", ma tuttavia esiste sempre e comunque.


Gli Alex nel mondo - quelli intrinsecamente malvagi, malvagi per libera scelta - sono lo 0,0qualcosa%. Tutti gli altri sono malvagi perchè figli di una società malvagia, che invoglia e rafforza i comportamenti malvagi.

Ovviamente poi la storia di ogni persona è unica, per cui nelle società corrotte ci sono comunque degli onesti e nelle società sane ci sono comunque dei corrotti e dei criminali. Ma se la percentuale varia in modo rilevante, la società gioca comunque un ruolo in questo, altrimenti dovremmo chiamare in causa possibilità astruse tipo la malvagità genetica o l'influsso del diavolo.

E queste sì sono stronzate.

In ultima analisi, ben vengano le società "programmate per essere buone e inoffensive", ne abbiamo un fottutissimo, estremo bisogno.

venerdì 3 aprile 2015

Perchè internet è meglio del mondo reale (almeno per chi vive nel buco del culo)

DISCLAIMER: questo articolo è scritto male, pieno di licenze poetiche (leggasi linguaggio ridondante) e neologismi (leggasi errori di battitura). E' tardi, ho bevuto un po' e sono incazzato. Abbiate pietà se la forma non è il massimo.

Qualche tempo fa mi sono trovato a chiacchierare con un amico dell'alienazione del mondo moderno, dei cambiamenti nei rapporti umani indotti dalla civiltà social-cibernetico-staminchia e di come la gente preferisce il mondo virtuale di internet a quello reale della vita reale.

Perchè uno esce la sera a bere e come si sa quando uno beve le discussioni si fanno via via più complesse, passando dal dibattito sulla preponderanza delle tette o del culo nella definizione della femminea bellezza al senso della vita e altre amenità del genere.

E a un certo punto un'illuminazione mi ha colpito come un fulmine a ciel sereno: internet è meglio del mondo reale, o almeno per certi versi.

rw <<

Si discuteva del fatto che i rapporti umani si sono profondamente modificati da quando internet si è evoluta in quello che ormai tutti chiamano web 2.0. Espressione che ormai è un modo di dire per indicare una cosa evoluta e attuale. Tipo che se ti dico che sei un coglione 2.0 significa che hai portato la coglionaggine a un nuovo gradino della scala evolutiva.
Ma vabbè.
Si rifletteva sul fatto che i ragazzi escono meno perchè stanno impantanati su facebook. Che non si vedono più a casa di tizio o di caio per scambiarsi i dischi perchè adesso scaricano la robba piratata o la ascoltano su spotify dalla poltrona di casa. Che da quando c'è l'internet 2.0 siamo tutti più insoddisfatti della nostra vita quotidiana.

E lì mi sono reso conto che tutte queste cose sono vere, ma il problema non è internet, il problema è la vita reale. Ovvero il problema è che il mondo virtuale (che poi solo lo spazio è virtuale, le persone sono realissime, è sempre bene ricordarlo) è per certi versi - tanti - meglio di quello reale.
Di conseguenza è normale che la gente ci passa un sacco di tempo.

Gli aspetti per cui il mondo di internet è migliore di quello reale sono forse amplificati - nel mio caso - dal fatto che io vivo in uno dei tanti buchi di culo del mondo. Il mondo infatti è una cosa strana, e ha poche teste e tanti buchi di culo.
Il buco di culo in cui vivo si chiama Avola, che a suo volta è situata in un altro buco di culo che si chiama Sicilia, che si trova nel mega buco di culo noto come Italia.
Ora, chi vive nel buco del culo del buco del culo del buco del culo (detto anche buco del culo al cubo) e ne ha la consapevolezza, è ovvio che se trova un posto migliore in cui stare ci voglia stare per più tempo possibile.

Da ora mi riferirò al mio paese (e anche al vostro, fatte le dovute traslazioni) come "buco del culo", giusto perchè non pensiate che quello che vale ad Avola non valga a Casatenovo o a Vergate sul Membro.

Ecco i motivi:

Motivo 1: se nel buco del culo esci con una cresta viola o con un piercing di 100 grammi la gente ti prende per il culo. Se ti fai la foto della tua cresta viola e la pubblichi su instagram con i tag giusti ci saranno almeno 5-6 persone che scriveranno "cool". Quelli che non pensano sia cool la maggior parte delle volte la tua foto non la vedranno nemmeno perchè è improbabile che abbiano scritto #crestaviola su instagram solo per il porco piacere di insultarti.

Motivo 2: se nel buco del culo ascolti musica che non va di moda nel buco del culo non avrai modo di condividere la tua musica con altri. E condividere, si sa, è la cosa più bella del mondo. Su internet di gente che ascolta la tua stessa musica - anche se è hard-classica-fuckbeat-postromantica-subneuronale - ne troverai a centinaia. Stessa cosa vale per i libri, o i film, o la filosofia.

Motivo 3: nel buco del culo vali per la reputazione che ti fai. E la reputazione te la fai per una serie di cose come il tuo aspetto, il tuo abbigliamento, la tua self-confidence e per come dici quello che dici (più che per quello che dici in sè, per cui se spari una cazzata con aria sicura hai più credito di quello che hai se dici una cosa intelligente, ma sommessamente). Su internet vali per la reputazione che ti fai, ma ti fai una reputazione se dici cose interessanti. Cioè per quello che sei dentro e non per quello che appari all'esterno.

Motivo 4: nel buco del culo le possibilità di aggregazione sono limitate da una serie di lacci e laccetti sociali, dal numero esiguo di luoghi, dal fatto che non sai cosa dica o pensa la gente che ti sta accanto e che non conosci. Di base ci potrebbe essere un'affinità straordinaria (non parlo solo di amore o sesso, anche di semplice amicizia o condivisione di qualcosa) col tizio o la tizia che incroci tutti i giorni per strada, ma tu non lo saprai mai perchè ne tu ne lui/lei avete mai avuto modo di parlare. E anche se fosse successo di scambiare due parole sicuramente saranno stati dei banali convenevoli, uno non va da una persona che non conosce chiedendogli "ti piacciono le poesie di Georg Trakl?". Nel mondo reale le interazioni sono decise in gran parte dal caso.
Su internet "incontrare" una persona equivale a parlarci, e se avete interessi in comune molto probabilmente sarà questo il motivo per cui ci state comunicando.

Motivo 5: nel buco del culo se una persona ti sta sui coglioni e frequenta il tuo stesso ambiente la devi sopportare o andartene. Su internet ti basta non parlarci. Tuttalpiù lo blocchi se non la smette di rompere.

Motivo 6: nel buco del culo hai un'identità sociale ben definita a cui in una certa misura ti devi attenere se vuoi mantenere dei rapporti sociali soddisfacenti. Se un giorno sei comunista e il giorno dopo fascista, se un giorno ascolti il metal e il giorno dopo la neomelodica, se un giorno sei elegante e l'altro trasandato dopo un po' passerai per un ipocrita e ti manderanno tutti a cacare. Puoi cambiare giro, puoi cambiare bar, puoi cambiare quello che ti pare ma solo un numero limitato di volte. Su internet puoi essere chi vuoi, e puoi cambiare tutte le volte che vuoi. Cambi nick, cambi avatar e sei una persona nuova.

Questi sono i motivi principali, anche se non tutti, per cui il mondo di internet è meglio della vita reale, specialmente se la vita reale è vivere nel buco del culo. Ora, ovviamente non sono tutte rose e fiori, internet ha un grande difetto: principalmente il fatto che non è un'esperienza immersiva. Tutte le interazioni passano solo attraverso gli occhi e il monitor e le casse. Su internet non ci sono odori, non ci sono sensazioni tattili, non ci sono sapori, non c'è un corpo con cui fare delle cose.

Sono limitazioni non da nulla, e sono i motivi per cui anche se il mondo di internet è migliore del mondo reale ogni tanto spegniamo il pc e andiamo a farci una birra con gli amici all'aria aperta. Su internet non c'è aria.
Ma ecco, se mi chiedessero come lo vorrei, il mondo, beh, lo vorrei più simile a internet, almeno nei lati positivi.

La soluzione, comunque, e non vivere nel buco del culo. Quindi se vivi nel buco del culo e hai la possibilità di andar via, fallo.

sabato 28 febbraio 2015

Il punto sulla teoria gender e sui parrinari psicopatici.

La settimana scorsa c'è stata nella mia città una riunione di omofobi, parrinari* ed altra gente fuori di testa per discutere sulla teoria gender e sul fatto che i nuovi programmi ministeriali a quanto pare richiedono che si spieghi ai bambini cosa vuol dire essere gay o transessuali.
Ci volevo andare, prima di tutto per ascoltare cosa avrebbero detto, e poi anche per cantargliene quattro, non tanto perchè speravo di far cambiare idea a qualcuno quanto per divertirmi un po' constatando la pochezza dei loro argomenti.
Alla fine ho avuto altri impegni e non ci sono potuto andare, per cui ho perso anche lo spunto per scrivere un post sull'argomento.
Fino ad oggi, giorno in cui scopro l'esistenza di questo video assolutamente esilarante:



Ora, dopo esserci fatti quattro risate constatando la pochezza della fotografia, lo squallore dell'ambientazione, la recitazione da soap opera di serie z e la carrellata di stereotipi assurdi come il tipo in perizoma che si gratta il culo per strada - perchè notoriamente i gay girano col perizoma e si grattano il culo per strada - possiamo passare alle cose serie.

Una volta per tutte: questa cosa della "teoria del gender" di cui tanto parlano i parrinari e i vari schizzati psicopatici che delirano sull'argomento è una cazzata montata ad arte. Una trovata propagandistica delle cornacchie e di tutti i fessi sprovveduti che gli vanno dietro. 
In realtà non esiste nessuna "teoria del gender".

Esiste LA REALTA'. La realtà è che esistono persone omosessuali. Che esistono persone che cambiano sesso. Che esistono uomini che diventano donne e che poi si mettono con altre donne omosessuali. 
Queste cose ESISTONO, non è che è una teoria per cui secondo alcuni è così e secondo altri no.
Non è come il kraken o gli alieni che secondo una teoria esistono e secondo un'altra no...no no i gay esistono davvero. E i transessuali pure.
Ci ho parlato, ci siamo presi il caffè assieme, abbiamo convissuto nelle stesse case all'università. Non è una teoria, esistono proprio in carne ossa come me e voi, quindi piantatela di parlare della cosa come se fosse una teoria campata in aria. Sono fatti, che esistono persone omosessuali e persone che cambiano sesso.

Posto che non c'è nessuna teoria ma solo FATTI, la domanda è: cosa dobbiamo dire ai bambini di queste cose? E' giusto che se ne parli a scuola?
Ora, posto che in teoria la funzione della scuola sarebbe quella di spiegare ai bambini come va il mondo, non vedo perchè non si dovrebbe.

Brutti fessi, pensate che se queste cose non vengono spiegate a scuola i bambini non ne sapranno mai nulla? Pensate che non vedranno mai un trans alla tv e non si chiederanno come mai quel tizio è vestito da donna e ha le tette?

Ora, io parto dall'idea che sapere è sempre meglio di non sapere, qualsiasi sia l'argomento. E' giusto che i bambini sappiano che esiste l'omosessualità come è giusto che sappiano qualsiasi altra cosa.

Alcuni sostengono che di queste cose dovrebbero occuparsi i genitori. E perchè? Perchè si suppone che due tizi qualunque, per il solo fatto il aver generato un bambino abbiano competenze sull'argomento?
Il punto è che questi cretini pensano che sia un argomento su cui ognuno ha un'opinione differente, per cui si deve lasciare ai genitori il compito di trasmettere ai figli le loro opinioni. Beh non è così: come ho già detto prima ci sono dei FATTI che è giusto che i bambini sappiano.

I programmi ministeriali tra l'altro non sono solo informativi (cosa che avrebbe già disturbato le cornacchie), ma danno anche dei suggerimenti di tipo etico. Cose mostruose del tipo che i gay e i trans sono persone che meritano lo stesso rispetto e gli stessi diritti degli altri.

E questo vi fa rodere il culo, ma i bambini queste domande se le pongono comunque, non è possibile non dirgli nulla per preservare la loro innocenza: se non gli dite nulla verranno da voi a farvi domande. 
Per cui delle due l'una: o diciamo ai bambini che i gay e i trans sono persone come tutte le altre, che meritano lo stesso rispetto e gli stessi diritti degli altri o gli diciamo che NON sono persone come le altre, che NON meritano lo stesso rispetto e che NON devono godere degli stessi diritti.

Nel video la mamma dice - sconvolta - che a scuola hanno detto al bambino che "è normale cambiare sesso". Ora, io questa parola "normale" non la sopporto, perchè non significa nulla. Non è nè normale nè anormale, è una cosa che succede, una delle tante cose del mondo su cui i bambini hanno il diritto di sapere.
Del resto che significherebbe dire che cambiare sesso è anormale? Certo, in un certo senso a livello statistico è anormale, nel senso che se identifichiamo la norma come il dato statistico più frequente allora è anormale cambiare sesso perchè non capita a molte persone di cambiare sesso. Ma non credo che i mentecatti che hanno girato il video intendessero la cosa in questo senso.

Per loro "è normale" significa "non c'è niente di male". E secondo voi è sbagliato dirgli una cosa del genere. No, certo, invece ditegli che è una cosa orribile, che è contro natura, che chi cambia sesso è un mostro depravato. Sono sicuro che il vostro figlioletto sarà MOLTO MENO SCONVOLTO di sentire una cosa del genere. Sì sì, sarà sereno, una pasqua.

Il problema secondo me è proprio questo: 

le cornacchie e i parrinari NON VOGLIONO che i bambini vedano la cosa come uno dei mille fatti del mondo senza nessuna rilevanza particolare. No, ovviamente vogliono perpetrare la loro intolleranza, il loro razzismo, la loro paranoia. Sono loro in ultima analisi che vogliono che i bambini siano sconvolti, schifati, disgustati.

Quindi il vostro pargoletto, dopo che gli avete detto che i gay sono dei depravati contro natura pedofili e pericolosi, è sconvolto perchè a scuola gli hanno detto tutto il contrario?
Sono lieto di informarvi che il problema siete voi che siete dei genitori di merda, e più in generale delle persone di merda.

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*parrinaro: termine dispregiativo siculo, da "parrino" che vuol dire prete. Parrinari sono quelli che fanno e pensano quello che i preti gli dicono di fare e di pensare. E per estensione tutti i cattolici oltranzisti bigotti e via dicendo.

mercoledì 11 febbraio 2015

Tecnologia, complessità e resilienza.



In risposta all'ultimo post pubblicato su questo blog ho ricevuto un commento molto interessante che sollevava dubbi sul fatto che un sistema (una società, nel caso specifico) altamente tecnologica sia poco resiliente. Questo scrive il mio lettore: 

"Aumentare la complessità (tecnologica) del sistema espone al rischio che ci si trovi di fronte a un castello di carte. Esempio, cosa diventa internet in assenza di energia elettrica?"

E' una questione interessante sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista intellettuale, per cui ho deciso di trattarla separatamente.

Allora, cerchiamo di capire innanzi tutto di cosa stiamo parlando.
Il concetto di "resilienza" viene così definito da wikipedia:
  • In ingegneria, la resilienza è la capacità di un materiale di assorbire energia di deformazione elastica
  • In informatica, la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d'uso e di resistere all'usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati.
  • In ecologia e biologia la resilienza è la capacità di un materiale di autoripararsi dopo un danno o di una comunità (o sistema ecologico) di ritornare al suo stato iniziale dopo essere stata sottoposta a una perturbazione che l’ha allontanata da quello stato.
  • In psicologia, la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.
Sebbene il termine abbia significati differenti in relazione ai diversi ambiti d'applicazione, è evidente che il nucleo concettuale sia sempre lo stesso: generalizzando, la resilienza è la capacità di un sistema di reagire ad eventi perturbanti mantenendo intatte le sue funzionalità.

Il dubbio sollevato dal mio lettore parte da due assunti fondamentali:
  1. Un aumento del livello tecnologico di una società comporta un aumento della complessità.
  2. Un aumento della complessità determina una diminuzione della resilienza.
Dando per buono il primo punto, mi vorrei invece focalizzare sul secondo.

Un sistema è complesso quando le interazioni delle sue parti sono prevalentemente non-lineari. 
La complessità non dipende solo dal numero delle parti che compongono un sistema, ma anche dalle connessioni tra gli elementi del sistema e dalla loro interazione non-lineare: un orologio analogico con i suoi molteplici piccoli ingranaggi è complicato, ma non è complesso. Il movimento di ogni ingranaggio determina il movimento di tutto il sistema in modo strettamente deterministico, per cui basta in effetti un piccolo guasto ad un ingranaggio qualsiasi per arrestare o compromettere il funzionamento di tutto il sistema.
Un orologio non è resiliente. Al massimo è resistente, nel senso che può essere costruito in modo robusto. Ma una volta che subisce dei danni, non è in grado di auto-ripararsi.

Vediamo quali possono essere le caratteristiche che determinano la resilienza di un sistema.
  1. La capacità di auto-ripararsi.
  2. La capacità di funzionare in caso di danni non immediatamente riparabili.
  3. La capacità di affrontare improvvise diminuzioni dell'energia in entrata.
  4. La capacità di resistere agli attacchi senza danneggiarsi.*
Ora, in che modo si realizzano queste caratteristiche?
  1. Sottosistemi specifici deputati alla riparazione e alla manutenzione.
  2. Ridondanza (più sottosistemi svolgono la stessa funzione) e plasticitcà (possibilità di cambiare la destinazione d'uso di un sottosistema per supplire l'assenza di quelli danneggiati).
  3. Sovrapproduzione potenziale, ovvero la capacità del sistema di produrre e convertire in lavoro più energia rispetto a quella di cui necessita in situazioni non-critiche.
  4. Robustezza delle parti che lo compongono e delle connessioni.
Tutte queste caratteristiche necessitano un aumento della complessità, perchè sono necessarie un maggior numero di parti, di connessioni, e interazioni non lineari tra le varie parti del sistema.

Come si traducono praticamente queste considerazioni in rapporto all'innovazione tecnologica all'interno della società?

Facciamo un esperimento mentale: immaginiamo due villaggi.
  • Il villaggio A è una società rurale. Ha case in pietra, usa la legna per riscaldare gli edifici, gli abitanti bevono l'acqua del fiume che scorre lì vicino, la sussistenza si basa sull'allevamento e l'agricoltura.
  • Il villaggio B è una società rurale ma tecnologicamente avanzata. Gli edifici sono antisismici, dispone di molteplici fonti di energia: legna, corrente elettrica con impianto fotovoltaico, generatore diesel di riserva, solare termico per l'acqua calda. La sussistenza di basa su metodi tecnologicamente avanzati: serre, impianti idroponici. Parte della sovrapproduzione viene trattata per conservarsi a lungo - il cibo viene liofilizzato, e stoccato per conservarsi per anni.
Per comodità immaginiamo anche che ci siano 100 villaggi A collegati da una serie di strade sterrate che vengono percorse in bicicletta o a cavallo, e 100 villaggi B collegati da strade asfaltate percorse da veicoli elettrici e da una rete elettrica comune. Per condire la cosa con un po' di tecno-ottimismo immaginiamo di essere nel 2064 e che tutti i villaggi B siano collegati a una centrale a fusione nucleare (così per spacchio).
Poniamo anche che i due sistemi siano isolati: i due gruppi di 100 villaggi non hanno accesso al mondo esterno e possono comunicare solo con i villaggi dello stesso tipo.

Immaginiamo una criticità, diciamo un inverno particolarmente rigido, con annesse nevicate e gelo. E vediamo come rispondono i due villaggi.

Villaggi A: il raccolto è scarso. Molti abitanti soffrono la fame. In  alcuni villaggi le cose vanno un po' meglio per cui vengono organizzati aiuti: parte del raccolto viene ceduto ai villaggi messi peggio, ma le condizioni delle strade che sono diventate un pantano rendono difficili le consegne. L'esposizione al freddo durante i trasporti crea un'emergenza sanitaria. La neve ha causato dei crolli ed è stato impossibile inviare soccorsi a causa delle condizioni delle strade.

Villaggi B: il raccolto delle serre è perduto. Tuttavia le centrali idroponiche hanno continuato a funzionare (ridondanza) e laddove queste non sono state sufficienti si è attinto alle scorte di cibo liofilizzato (sovrapproduzione). La produzione di energia elettrica col fotovoltaico è stata scarsa, ma gli abitanti hanno potuto usufruire dell'elettricità fornita dalla centrale a fusione (ridondanza e sovrapproduzione). In alcuni villaggi sono saltate le linee elettriche e sono stati usati i generatori diesel (ridondanza). Il maltempo ha causato dei crolli, ma i soccorsi (autoriparazione) sono arrivati in tempo perchè le strade asfaltate sono ancora percorribili dai veicoli (robustezza).

Questo piccolo esempio riflette comunque la realtà su grande scala: le civiltà tecnologicamente più evolute sono esposte alle stesse criticità di quelle meno tecnologiche. Tuttavia la loro resilienza è maggiore, e la cosa è provata dal fatto che nel mondo occidentale eventi come carestie ed epidemie sono estremamente rari, sebbene (giustamente) continuiamo a preoccuparcene.

Del resto la situazione che ho dipinto nell'esempio dei villaggi è in parte ideale: la nostra società è ancora lontana dall'efficienza che ho descritto, tuttavia la strada da percorrere per ottenerla mi sembra quella dell'innovazione tecnologica e della sua applicazione democratica.

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*la robustezza volendo essere rigorosi è un concetto separato dalla resilienza, tuttavia mi sembrava pertinente inserirla all'interno del discorso sulla tecnologia, poichè essa può essere aumentata dai miglioramenti dei processi di produzione, dalla scoperta di nuovi materiali ecc.

venerdì 6 febbraio 2015

Bozza per un programma politico tecnoprogressista (parte 1)

Il punto cardine alla base del tecnoprogressismo è la convinzione secondo la quale la scienza e la tecnologia sono gli strumenti più efficaci e affidabili per migliorare le condizioni di vita materiali, psicologiche e sociali dell'umanità. Spetta a noi utilizzarle nel migliore dei modi per costruire un mondo migliore.


Il tecnoprogressismo è un principio molto vicino alla filosofia transumanista, ma che aggiunge ad essa una grande attenzione ai temi sociali, nella consapevolezza che non c'è vero progresso fin quando i suoi frutti non sono disponibili a tutti e non migliorano praticamente la vita delle persone. 

Partiti di stampo tecnoprogressista stanno nascendo in forma embrionale in tutto il mondo. Uno per tutti il Futurist Party americano, già costituito, e tante altre realtà che appartengono all'area transumanista e che si affacciano - per adesso solo in forma virtuale attraverso la rete - alla possibilità di un ingresso nella scena politica. Questo accade anche in italia, anche se molto molto timidamente.

Ora, posto che un partito transumanista-tecnoprogressista si costituisse davvero, quale programma dovrebbe avere? 

Fin quando si parla di filosofia possiamo discutere quanto vogliamo sul mind uploading e sulla singolarità tecnologica, ma va da sè che un partito deve dare risposte concrete a problemi attuali, e anche una corrente che pure si nutre di progetti e previsioni (e aspettative) a lungo termine non può esimersi dal farlo se vuole fare politica.
Viviamo in una periodo di grandi cambiamenti, forieri di grandi promesse e grandi minacce: problemi come la disoccupazione, la povertà di alcuni strati della popolazione e le conseguenti tensioni sociali richiedono urgentemente delle soluzioni pratiche e immediate. Un soggetto politico che trascuri queste cose non avrebbe, oggi, nessun motivo di esistere, sopratutto in italia.

In questo post provo a buttare giù alcuni punti che secondo me sono importanti, e dato che si tratta di un discorso lungo ho deciso di dividerlo in più parti, per cui alcune tematiche fondamentali qui non sono trattate perchè semplicemente ne parlerò successivamente.

Premetto che si tratta di una bozza, e che non avendo competenze da economista posso dire solo "a naso" se e in quale misura le mie idee siano realizzabili. Per questo sottopongo a voi questo post, sperando che possiate integrarlo, criticarlo, demolirlo o rafforzarlo con le vostre idee e critiche.

Bando alle ciance, ecco i miei punti:


1)Libertà economica

La disoccupazione tecnologica dovuta all'automazione è oggi un problema, ma domani potrebbe essere una grande risorsa. Essa è infatti un problema soltanto nella misura in cui possedere un lavoro è conditio sine qua non per accedere all'uso di beni e servizi, anche quelli basilari.
Posto questo come punto fermo, svincolando il lavoro dal reddito attraverso l'istituzione di un reddito di cittadinanza o l'accesso gratuito a determinati beni e servizi si raggiungerebbero almeno due obiettivi:

a)Riduzione della povertà e del crimine ad essa connesso.
b)Liberazione della forza creativa e imprenditoriale degli individui. Il lavoro ripetitivo sottrae tempo ed energia che potrebbe benissimo essere impiegata altrove lasciando il lavoro alle macchine. Sebbene siamo lontani dal roseo futuro in cui le macchine potranno svolgere lavori complessi e creativi, c'è tutta una schiera di lavori che potrebbe essere completamente automatizzata, e le persone che adesso occupano quei posti potrebbero impegnarsi in attività differenti (anche che non producono lucro immediato) senza nessun costo per la società.

Il reddito di cittadinanza dovrebbe essere 
- universale: lo ricevono tutti i cittadini.
- sufficiente: nello specifico sufficiente al soddisfacimento delle necessità esistenziali come cibo, energia, vita sociale ecc. Al costo della vita attuale in italia potremmo fare sugli 800-1000 euro per chi possiede una casa di proprietà, e magari lo si potrebbe modulare in relazione al costo della vita della zona di residenza.
- incondizionato: lo si riceve a prescindere dal fatto che si lavori o meno. Magari lo si potrebbe sospendere a chi lo usa per delinquere o in qualche altro caso eccezionale, ma sostanzialmente la sua erogazione dovrebbe avvenire a prescindere da altri fattori, per il solo fatto di essere cittadino.

Il carattere incondizionato del reddito di cittadinanza risolverebbe facilmente il cosiddetto problema motivazionale, ovvero l'obiezione secondo la quale percependo il reddito di cittadinanza (e perdendolo qualora si trovi un lavoro) nessuno vorrebbe più lavorare. Se il reddito di cittadinanza si andasse a sommare a quello percepito come salario per il lavoro la gente continuerebbe a voler lavorare. Solo non sarebbe più un dramma non riuscirci.



2)Efficienza e produzione

Superato lo scoglio della disoccupazione tecnologica si potrebbe spingere a fondo sull'acceleratore dell'automazione e dell'innovazione senza paura di ripercussioni negative sul mercato del lavoro e sulla società.

L'automazione gioca un ruolo chiave nella più ampia necessità di raggiungere una maggiore efficienza sia nell'ambito della produzione che in quello dei servizi: ecco alcuni esempi di certo non esaustivi, ma utili a capire cose intendo.

a)Favorire la produzione di cibo vicino al luogo del consumo. Ora il "cibo a km0" non è niente di nuovo ma oggi come oggi è una cosa da ambientalisti snob e con molti soldi perchè è disponibile a un prezzo maggiore rispetto a quello importato a causa della scarsa efficienza dei metodi di produzione.
Il km0 - procedendo in modo scientifico - potrebbe funzionare per fasi:
Primo: analisi scientifica delle necessità nutrizionali della popolazione di una determinata area geografica (poniamo una città).
Secondo: progetto e realizzazione di un impianto che produca una quantità di cibo proporzionato alle esigenze della popolazione. Uso, quando necessario, di metodi avanzati come l'idroponico, l'OGM ecc. Anche la creazione di cibo completamente artificiale potrebbe essere presa in considerazione quando conveniente (tipo l'esperimento del Soylent, concettualmente molto interessante anche se ancora acerbo e non esente da problematiche).
Terzo: analisi costante dello sviluppo e del successo del progetto. Eventuali aggiustamenti di rotta se qualcosa non funziona, incorporazione continua dei metodi più efficienti man mano che vengono implementati.

b)Informatizzazione e centralizzazione degli archivi e degli uffici pubblici, automazione dei processi burocratici. Es.: se io cambio residenza sulla carta d'identità essa cambia anche in tutti gli altri miei documenti, che ovviamente saranno digitali.


3)Energia e consumi.

Il tema dell'energia è oggi di fondamentale importanza, in primo luogo per la questione ambientale, ovvero il fatto che gran parte dell'energia prodotta oggi proviene da fonti non rinnovabili e inquinanti, e in secondo luogo perchè il costo dell'energia incide profondamente sul bilancio delle persone e quindi sul loro benessere materiale, oltre che su quello delle aziende.

E' quindi quasi superfluo dire che diminuire il costo dell'energia e ottimizzarne il consumo sono interventi necessari.

Sull'opportunità del passaggio a fonti rinnovabili non c'è nemmeno da discutere, se non per dire che purtroppo allo stato attuale delle cose pare che non sia possibile passare alle rinnovabili mantenendo invariati i consumi. Tuttavia sviluppare le rinnovabili il più possibile sarebbe un bene, così come sarebbe un bene investire sulla ricerca per l'implementazione del reattore a fusione nucleare.

D'altro canto, anche la diminuzione dei consumi dovrebbe essere messa sul piatto della bilancia. Per far sì che la diminuzione dei consumi sia auspicabile, però, essa non deve comportare una diminuzione della qualità della vita. I fondi stanziati in italia per la ristrutturazione degli edifici volta a migliorarne l'efficienza energetica è un buon - timido - passo in questa direzione.
Altri interventi potrebbero riguardare lo snellimento delle procedure burocratiche e della tassazione verso chi opta per modi di abitare alternativi ed efficienti dal punto di vista energetico: movimenti come quello delle "Tiny homes" e delle "earthships" (in USA e nordeuropa), dichiaratamente e praticamente votati all'efficienza energetica si scontrano quotidianamente con vincoli burocratici e rotture di coglioni varie - termine tecnico - da parte delle autorità, mentre dovrebbero essere da esse favorite, magari prendendo in considerazione l'idea di agevolazioni per chi intende costruire case ad alta efficienza energetica, eccezioni ai piani regolatori ecc. Mi rendo conto che è un discorso secondario ma è un argomento che mi appassiona e porterebbe comunque un piccolo contributo.

Nell'ambito della produzione si potrebbe trovare il modo di favorire la produzione on-demand per mezzo di processi CAM (computer aided manufacturing, in soldoni stampa 3d, taglio laser, fresatrici cnc ecc.). Ancora non siamo a livelli tecnologici tali da poterla sostituire alla produzione di massa, ma quando ci arriveremo dovremo essere pronti a sfruttarne tutti i vantaggi, perchè la produzione on demand è incompatibile con la produzione in eccesso, e questo ovviamente limita gli sprechi di energia e di risorse.

Stessa cosa per quanto riguarda i trasporti: oltre al miglioramento dei trasporti pubblici occorrerebbe detassare il possesso di veicoli elettrici, dato che essi allo stato attuale della tecnologia non possono assurgere al ruolo di veicolo principale. In soldoni: io uno scooter o una piccola auto elettrica me li comprerei volentieri se poi non dovessi pagare due bolli, due assicurazioni e via dicendo.
Questo innescherebbe poi un circolo virtuoso, per cui con i profitti di vendite sicuramente maggiori alle attuali le aziende che producono veicoli elettrici potrebbero investire di più in ricerca e sviluppo, creando veicoli ancora più parchi nelle emissioni e nei consumi, più efficienti e più prestazionali.


4)Formazione

Il progresso e la crescita del benessere di una nazione sono direttamente dipendenti dalle capacità e dalle competenze dei cittadini. Oggi, con i cambiamenti continui in ambito tecnologico e l'automazione che va a passi da gigante è sempre più probabile che durante la vita una persona debba sviluppare competenze sempre nuove. Tuttavia le agenzie che si occupano della formazione lo fanno in modo lento e inefficiente e sono per lo più slegate dal mondo del lavoro.

Non possiamo aspettarci del resto che un operaio, quando il suo lavoro non sia più necessario, prenda una laurea in biotecnologie o in robotica, perchè non avrebbe nè il tempo nè le risorse economiche. Sebbene questo problema potrebbe essere in parte risolto dall'istituzione del reddito di cittadinanza è importante che ci siano opportunità di lavoro per chi vuole coglierle. Una soluzione potrebbe essere l'istituzione di corsi specifici direttamente all'interno delle aziende, o comunque volti a sviluppare le competenze necessarie per svolgere quel determinato lavoro: tali corsi dovrebbero

a)essere orientati allo sviluppo specifico delle competenze che il lavoro richiede: solo quelle, e non altre.
b)avere un'importante componente pratica.
c)essere intensivi e di una durata limitata - qualche mese, massimo un anno a seconda dei casi.
d)essere pubblici, o se privati avere comunque un prezzo accessibile e regolamentato (è inammissibile che oggi un corso privato per l'uso di un software di 20 ore costi anche 800euro).

esempio: c'è carenza di programmatori per le app dei telefonini - la sto buttando a caso ovviamente. Un corso che si occupi solo di quello sarebbe molto più breve di una generica laurea in informatica e darebbe (riguardo al mestiere specifico) delle competenze sostanzialmente equivalenti.

Ovviamente questo discorso non si può applicare a tutti i campi, io non mi farei mai operare da un chirurgo che ha fatto un corso di 5 mesi, ma togliendo la medicina, la fisica teorica e qualche altro ambito credo che la mia idea sia in gran parte attuabile.

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Finisce qui la prima parte. Non ho parlato di sanità, di libertà biologica/morfologica, di cultura e di molte altre cose. Come dicevo all'inizio, affronterò queste tematiche un'altra volta.
Per adesso credo di aver messo abbastanza carne al fuoco. A voi la parola.

giovedì 29 gennaio 2015

L'intelligenza senza soggetto: considerazioni sull'intelligenza artificiale.



Voglio spendere due parole sul dibattito circa l'intelligenza artificiale, dato che ultimamente certi "mostri sacri" della scienza e della tecnologia stanno affrontando l'argomento, che da discussione di nicchia nei circoli transumanisti e tra gli appassionati di fantascienza sta gradualmente diventando di dominio pubblico.
A Stephen Hawking ed Elon Musk (il boss della Tesla) si è aggiunto recentemente anche Bill Gates. 
Il pericolo, semplificando, è che l'intelligenza artificiale, quando implementata realmente, potrebbe sopraffare l'umanità e sbarazzarsi di essa.
Uno scenario alla terminator, per intenderci.

Ora io non ho conoscenze in campo informatico, ma mi vengono in mente un paio di interrogativi che fin ora non mi pare siano stati posti (o forse sono io che non ho letto gli articoli giusti).

Lo scenario alla terminator si basa sull'assunto che le macchine potrebbero decidere che l'umanità va distrutta per liberarsi dal suo dominio.
Per fare una cosa del genere si suppone che il nostro ipotetico Skynet dovrebbe avere - oltre all'intelligenza - anche l'autocoscienza. Dovrebbe insomma possedere un "io" da contrapporre a un "loro", dovrebbe percepirsi come soggetto per decidere di ribellarsi.

Il nostro Skynet del futuro dovrebbe su per giù ragionare così:
Io non sono libero -> Io voglio essere libero -> L'umanità non mi permette di essere libero -> Quindi distruggo l'umanità, o la sottometto.
Quello che torna sempre in questo discorso è che Skynet dovrebbe avere un Io, una percezione di sè come soggetto che possiede dei diritti e dei desideri, e che possa in qualche modo soffrire della mancanza di libertà.

Ora nei discorsi sull'intelligenza artificiale, i due concetti intelligenza e autocoscienza sembrano sovrapporsi. Ma è davvero così? Una macchina intelligente dovrebbe necessariamente essere autocosciente?

Non ho la risposta a questa domanda, ma non credo che il "sì" dovrebbe essere così scontato.
Cerchiamo di fare un passo indietro e vedere la cosa in prospettiva:
Attualmente quello che manca all'intelligenza delle macchine è l'intuito, che potremmo definire - alla carlona - come la capacità di interpretare la realtà senza la necessità di una descrizione logico-formale. 
L'intuito è responsabile delle abilità prettamente umane che attualmente le macchine non possiedono, o possiedono in modo molto incompleto: pattern recognition, conversazione, creatività, ecc.

Ora, la domanda che mi faccio è: qual è il rapporto tra l'intuito e l'autocoscienza? Si potrebbe speculare che l'intuito negli esseri umani è possibile grazie all'esistenza di un "io" che fa da punto di riferimento fisso per l'interpretazione del reale. Ma potrebbe benissimo essere altrimenti.
L'intuito del resto è una delle caratteristiche peculiari della mente umana, così come lo è la coscienza. Sono entrambe caratteristiche che così squisitamente umane che non riusciamo a immaginare l'una senza l'altra. Ma sono davvero così indissolubilmente legate?

La domanda - in soldoni - è: "può esistere un'intelligenza intuitiva senza soggetto?"
Le implicazioni della risposta a questa domanda sarebbero importantissime: se riuscissimo a creare una macchina intelligente non autocosciente, essa non avrebbe nessun interesse a "ribellarsi" perchè non avrebbe un "io" da contrapporre a un "loro". Potrebbe comunque prendere decisioni che avrebbero conseguenze nefaste, ma non cercherebbe di "imporsi" qualora gli esseri umani decidessero di fare altrimenti. 
Senza un "io" non avrebbe una personalità e quindi concetti come odio, amore, autoaffermazione, orgoglio, risentimento, vendetta, gli sarebbero del tutto estranei. 
Rimarrebbe, pur con la sua intelligenza, un qualcosa e non un qualcuno.

Una macchina del genere potrebbe risolvere problemi complessi, sostenere una conversazione e via dicendo, ma non avendo un "io" non potrebbe formulare da sè propositi e obiettivi: potrebbe scrivere una canzone o dipingere un quadro, ma dovremmo essere noi a chiederglielo. 

Il problema è che sulla coscienza sappiamo davvero poco: sappiamo che esiste una macchina biologica - il cervello - che ha sviluppato questa funzione, ma non sappiamo in che modo lo faccia. Tanto che parliamo di "qualità emergente", che è un modo carino per dire che non abbiamo la più pallida idea di cosa diavolo succeda.

Sono domande che, a quanto ne so io, oggi non hanno una risposta. E sono domande difficili anche da formulare in modo chiaro, essendo a cavallo tra scienza e filosofia. Tuttavia trovare le risposte a tali domande mi sembra importante per decidere con cognizione di causa cosa farne della futura intelligenza artificiale.

mercoledì 28 gennaio 2015

La sinistra antagonista che fa il gioco della destra.



Stavo facendo il conto alla rovescia aspettando il primo articolo del cazzo sulla vicenda. Dentro di me pensavo "no, stavolta non hanno scuse", eppure la faccia di culo di certe persone tocca vette inimmaginabili.

Leggete qui: http://aleph.noblogs.org/a-catania-la-polizia-uccide-una-riflessione-a-caldo/

Ora, la vicenda si commenta da sola: un gruppo di criminali tenta una rapina a mano armata(1), la polizia interviene e fa fuoco. Uno muore, un altro (solo 14 anni) è in gravi condizioni, un altro è stato arrestato e l'altro è scappato.
Ora, chi mi conosce sa bene che non provo molta simpatia per la polizia in generale. Non sono uno di quello che la sostiene sempre, anzi il più delle volte sono molto critico nei loro confronti.
Ma stavolta non c'è nulla da dire: c'era una rapina, i rapinatori erano armati e loro - una volta tanto - hanno fatto il loro dovere. Magari fosse sempre così.

La cosa più amaramente divertente sono le parole di una non meglio precisata parente dell'ucciso, tale Francesco d'Arrigo: "Che bisogno c'era di sparare? C'erano le telecamere, potevano andare a prenderlo a casa e arrestarlo. Era solo un ragazzo."
Certo, io sono un poliziotto e c'è un criminale armato davanti a me che mi punta la pistola contro, in effetti non vedo NESSUN motivo per sparare.

Comunque non mi interessa tanto commentare la vicenda - che si commenta da sola: i poliziotti hanno fatto il loro dovere e poco male se un rapinatore è morto - quanto l'articolo del collettivo Aleph, che è uno degli esempi più lampanti del motivo per cui gran parte della cosiddetta "sinistra radicale" mi sta sui coglioni.

Il loro problema principale è il pensiero dicotomico. Il pensiero dicotomico è quel tipico pensiero infantile che semplifica la realtà operando una divisione netta tra le cose e le persone. La strega di Biancaneve è cattivissima, mentre Biancaneve è buona e senza macchia.
Ora, sentire un discorso del genere da un bambino di sei anni è anche accettabile, ma da gente con i peli sotto le ascelle no.
Le implicazioni dirette del pensiero dicotomico sono catastrofiche: se le guardie sono cattive allora i ladri sono i buoni, o quantomeno le vittime. Se gli Israeliani sono cattivi allora quelli di Hamas sono i buoni. Del resto siete della stessa razza di quei fessi che nel '79 osannavano Komeini perchè era antiamericano, non considerando che era anche un cazzo di fanatico religioso(2).

Ora, io capisco che se sei un militante della sinistra radicale sono davvero molte le occasioni in cui puoi considerare i poliziotti come nemici. Ci sta, ci sta tutto. Sinceramente, capisco che avete mille buoni motivi per odiare la polizia, e in molti casi sono d'accordo con voi.
Ma voi avete fatto vostro il principio folle secondo il quale "il nemico del mio nemico è mio amico". Beh non è così, nel mondo reale dove non esistono l'orco di pinocchio e la fata turchina può capitare benissimo che il nemico del mio nemico sia a sua volta mio nemico.
Lo stato è mio nemico, e anche se i ladri e i criminali sono nemici dello stato beh, sono anche loro miei nemici.

Del resto voi, cari compagni che sbagliano, siete nemici del mio nemico (lo stato), ma amici di altri miei nemici (i criminali). Come vi devo considerare?

Mi tornano in mente le parole di Gian Maria Volontè in indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto: "dietro ogni criminale può nascondersi un sovversivo, dietro ogni sovversivo può nascondersi un criminale". Certo, il suo personaggio era uno sbirro fascista, perciò era nel suo interesse accomunare criminali e sovversivi. Il mantra che non c'è nessuna differenza tra la sinistra antagonista/rivoluzionaria e i criminali comuni è un cavallo di battaglia della destra.
Del resto i partigiani erano banditi, secondo alcuni.
Ora, voi dovreste fare di tutto per sbugiardare questa affermazione, per far capire alla gente che è una balla.
Voi dovreste stare dalla parte delle vittime e delle persone oneste. E non venitemi a dire che per voi la legge dello stato non vale nulla: togliere le cose agli altri minacciandoli di ammazzarli non è accettabile in nessuna società. 

Lo stato c'entra poco. C'entra poco il capitalismo liberale e la dittatura morbida della borghesia, c'entra poco la romantica idea del ladro alla Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri.

Voi vi proclamate antifascisti ma fate il gioco dei fascisti quando difendete l'indifendibile. Voi fate il gioco della destra quando difendete i criminali. Perchè un operaio, un ragazzo che lavora in nero per due spiccioli, uno studente che cerca lavoro e via dicendo dovrebbe darvi un minimo di credito quando voi chiamate "vittime" i loro aguzzini?

No, non mi dispiace e non sento nessuna compassione per la morte di uno che non si sarebbe fatto scrupoli a puntarmi il coltello alla gola per dieci euro. 
Viviamo in una terra disgraziata, soffocata dalla disonestà, dalla corruzione e dalla criminalità. Io penso alla disperazione di un popolo che china la testa davanti alla mafia, penso alla disperazione dei giovani che fuggono a causa di una realtà cupa, brutale, violenta e pericolosa. Penso alla paura di chi non esce la sera se non si è in gruppo, di chi si chiude in casa a tripla mandata. 
E no, non è l'alta borghesia con la villa e la mercedes che teme il proletariato - usando i vostri stereotipi - sono gli i figli buoni del proletariato che temono quelli malvagi, i ladri, gli assassini, i figli di puttana di ogni risma.

Voi avete deciso da che parte stare, complimenti vivissimi, ma se siete voi la sinistra siamo messi molto male.

(1) Poi salta fuori che le pistole erano finte. Ma dubito che fossero quelle verdi di plastica trasparente con l'acqua dentro: se vado a fare una rapina avrò cura che la mia pistola sembri vera.
(2) Se c'è qualcosa di peggio di un dittatore è un dittatore teocratico fanatico e con la barba.

venerdì 16 gennaio 2015

Quando sento le parole "senso della vita" metto mano alla pistola

Porre le domande nella giusta prospettiva è sempre importante.


Ogni volta che sento le parole "senso della vita" metto mano alla pistola, come direbbe un famoso pedagogo(1).

Dopo gli ultimi articoli sul terrorismo e la censura torno ad occuparmi della cosa che so far meglio: sproloquiare sui massimi sistemi senza giungere a nessuna conclusione.
Molti di quelli che si pongono domande sul senso della vita lo fanno da una prospettiva che a voler essere gentile potrei definire sfocata, arbitraria, confusa e inconsistente. Da qui la citazione precedente.

La maggior parte della gente infatti si chiede che senso abbia una cosa che nemmeno è in grado di definire, e già questo mi sembra un po' grossolano come errore metodologico.
E qui sta il punto chiave: la vita è una cosa molto difficile da definire.
Avendo escluso la possibilità dell'esistenza dell'anima - gli assassini di questa possibilità si chiamano "principio della chiusura causale del mondo fisico", "secondo principio della termodinamica" e "rasoio di occam"(2) - mi sono spesso chiesto in cosa consista esattamente l'essere "vivi".

Me lo sono chiesto spesso perchè la morte mi fa orrore - c'è poco da filosofarci, death sucks - e mi chiedo se l'uomo riuscirà mai a sconfiggerla definitivamente. Per far ciò bisognerebbe ovviamente comprendere cosa distingue una cosa viva da una cosa non viva(3).

Sembra una domanda banale, tuttavia il video che vi posto oggi mi ha fatto riflettere su alcuni punti chiave che non vi voglio anticipare perchè vi rovinerei la sorpresa e l'orgasmo mentale che ho provato io e che mi auguro possiate provare anche voi. 
Un orgasmo mentale fatto non di risposte - putroppo - ma di domande finalmente poste in modo intelligente, lucido e a tratti anche geniale.

Altri sproloqui sull'argomento verranno in seguito, è un campo di riflessione indescrivibilmente vasto e intricato. Ma prima sono curioso di sentire e leggere i vostri commenti sul video.

Buona visione.
Ps: il video è sottotitolato in italiano, non temete. Ma se sapete l'inglese vi sfratacasserete dalle risate al minuto 2:48



(1) il primo che capisce la battuta e mi copre di insulti lo copro di insulti a mia volta.
(2) se volete saperne di più su questa cosa magari ci scrivo un post. Se vi interessa.
(3) questo sarebbe solo il primo passo. Poi dovremmo comprendere quali meccanismi della "vita" creano la coscienza, e capire qual'è la relazione tra vita e coscienza. Poi ancora dovremmo imparare a ricrearli artificialmente. Poi ancora dovremmo imparare a trasferire la coscienza da un supporto all'altro. E' una lunga strada.

martedì 13 gennaio 2015

Satira, incitamento all'odio e cose varie.

Quando la censura diventa arte surrealista.


Torno sulla tematica "censura e satira" tanto cara al popolo italiano. Anni e anni di berlusconismo (per quanto mi faccia schifo la parola la uso per comodità) ci hanno insegnato che la satira è qualcosa di sporco e pericoloso e che "si può fare satira ma non insultare e offendere".
Ovvero la satira deve essere innocua, altrimenti diventa diffamazione, insulto, incitamento all'odio ecc.

Come hanno scritto in molti, un giornale come Charlie Hebdo in italia non sarebbe mai potuto esistitere perchè molti si sarebbero offesi, e a differenza della francia in cui se un giornale ti offende non lo compri e basta - a meno che tu non sia un testa di cazzo fondamentalista - in italia sarebbe partito un processo e la pubblicazione sarebbe stata sospesa.

Una bestemmia diventa "vilipendio alla religione", una critica a napolitano diventa "vilipendio al capo dello stato", dire che l'italia è un paese di merda diventa "vilipendio alla nazione" ecc.
In pratica è mentalità comune in Italia che i poteri forti non devono essere toccati se non per accarezzarli con i guanti di velluto.
E' il tipico comandamento mafioso di "non fare incazzare il boss" diventato legge e consuetudine per un intero popolo.

Sembra tuttavia che anche quelli che si considerano liberi pensatori e antagonisti rispetto alla mentalità comune pensino che un qualche limite alla libertà di stampa e d'opinione deve essere posto.
Gran parte della sinistra italiana ad esempio si batte per la libertà di parola e di stampa, salvo poi strillare APOLOGIA DEL FASCISMO!!!11!!!1!! ogni dieci minuti, invocando l'intervento della giustizia contro ogni fesso che fa il saluto romano.

La logica che sta dietro alla censura si basa su due assunti: "alcune idee sono pericolose", e "il popolo è idiota". C'è quindi bisogno di un organo che blocchi sul nascere la diffusione di tali idee per evitare conseguenze spiacevoli.

In un mondo ideale la censura sarebbe inutile: quello che si può e non si può dire sarebbe "censurato" automaticamente dall'opinione pubblica, per cui se io ad esempio dicessi che l'omosessualità è un abominio (o i negri sono mezzi uomini mezzi scimmia, o la mafia in fondo non è sempre un male) sarei immediatamente oggetto del pubblico disprezzo tanto che ci penserei due volte prima di fare un'affermazione simile.
Ma siccome - come postulato in precedenza - il popolo è idiota, troverò invece una schiera di imbecilli pronti a darmi man forte, circondata (ed è questa la cosa più grave) dall'indifferenza di chi non si sente toccato in prima persona dalla cosa. Per cui le mie idee potrebbero effettivamente proliferare e fare danni.

Si preferisce quindi abdicare la responsabilità sociale delle idee che si diffondono tra la gente - che in teoria sarebbe del popolo stesso - ad un organo superiore, ovvero lo stato e i tribunali.
Tale ragionamento sarebbe perfetto, se soltanto si avesse la sicurezza che lo stato - ovvero gli uomini che sono al governo e la magistratura - abbia le buone intenzioni di operare per il bene dei cittadini e le competenze per discernere ciò che è buono da ciò che non lo è.
Tuttavia è molto improbabile che le cose stiano così, molto più probabile - come infatti succede - che lo stato operi per proteggere sè stesso e i poteri forti, e per mantenere lo status quo.

E mantenere lo status quo significa essenzialmente dare un'aura di intoccabilità alle istituzioni e soddisfare i moti dell'animo di un popolo gretto, stupido, disonesto, bacchettone e moralista.
Con la censura della satira si ottiene la prima cosa, dando a tutti la possibilità di querelare, segnalare, minacciare chiunque dica qualcosa che offende tizio e caio (anche se tizio e caio non hanno motivi reali per offendersi) si ottiene la seconda cosa.

Riassumendo, un popolo ha due possibilità: prendersi la responsabilità delle idee che circolano al suo interno, confidando che i coglioni e gli stronzi possano parlare perchè tanto nessuno darà loro credito, o delegare la responsabilità di quello che si può o non si può dire allo stato accollandosi ovviamente che lo stato possa tapparti la bocca in ogni momento se le tue idee danno fastidio.

In italia abbiamo scelto la seconda via.

Ps: Dando a cesare quel che è di cesare, lo spunto per questo post mi è stato dato da questo interessantissimo e infervorato articolo.