Un altro blog

Ad un certo punto mi sono reso conto che se avessi dovuto aprire un blog per ogni cosa che mi piace, mi interessa o ho semplicemente voglia di condividere ne avrei dovuto aprire una ventina. Fino ad ora ho fatto così e la cosa non ha funzionato: troppe cose dette in modo troppo sparpagliato. Ora questo è il mio unico blog, senza fronzoli e senza pretese: qui c'è tutto quello che ho voglia di raccontare. Ciao.

ATTENZIONE

A quanto pare è successo qualcosa di strano e molte delle immagini presenti nel blog sono sparite, compresa l'intestazione. Non ho idea di cosa sia successo, forse è colpa delle scie chimiche che mi faccio davanti al pc.
Mi scuso per il disagio e cercherò di riparare i danni appena possibile, nel frattempo i post sono ancora on-line quindi potete leggerli lo stesso.

mercoledì 17 aprile 2013

Agli europei dell'anno scorso tifavo per la DDR




Agli europei dell'anno scorso tifavo per la DDR. Avevo soffiato via la polvere dalla mia bandiera col tricolore rosso/nero/oro e il martello col compasso. Avevo pure riesumato il mio portachiavi di filo spinato, non si sa magari sarebbe potuto servire in qualche rissa con quelli dell'ovest. Purtroppo però la mia DDR non c'era tra le squadre che si contendevano la vittoria, evidentemente non aveva passato le qualificazioni. O c'era qualcosa che mi sfuggiva?

Comunque, la sera di Italia-Germania (ovest, ovviamente) stavo sulla spiaggia mentre poco lontano una massa di gente si affollava davanti al teleschermo col fiato sospeso.
Avevo appena finito il quarto mojito e trascinavo i piedi verso il bar a prendere il quinto, approfittandone del fatto che erano tutti col naso all'insù a vedere a la partita e non c'era fila. L'italia stava vincendo e io ero preso a male per una serie di motivi troppo lunga e nebulosa per essere spiegata.
"Un mojito?" mi disse quello del bar.
"Sì, un mojito"
Sul teleschermo stavano inquadrando una tifosa bruna con gli occhi azzurri come il mare che brillavano nella fredda luce dei neon. Piangeva.
A me non me ne fregava niente della partita, avrei voluto essere lì per dirle di non prendersela e offrirle qualcosa da bere e asciugare le sue lacrime. La folla invece era in visibilio nel vedere il nemico piangere. Qualcuno gridò un insulto e più tardi la foto spopolò nei social networks corredata da commenti di scherno.
Ci sono al mondo persone straodinarie, ma la maggior parte della gente è bassa.

Comunque quella sera realizzai che il miglior modo per risolvere il problema della violenza negli stadi era proprio la violenza negli stadi.
Immaginate: uno stadio pieno, le curve gremite di ultras (facciamo del palermo e del catania, per restare dalle nostre parti). Ogni tifoso ha ricevuto in dotazione tre panini col prosciutto, tre con la mortadella, otto scatolette di simmenthal, un po' di insalata, un pacco di pasta e cinque bottiglie d'acqua e tutto il necessario per mantenersi sazio e idratato per, diciamo, cinque giorni. Al centro del campo, invece dei giocatori, una catasta di armi. 
Molte armi. 
In pratica tutte le armi che l'uomo ha concepito dall'età della pietra al ventunesimo secolo: mazze, pietre, fionde, spade, alabarde, lance, archi, balestre, fucili, pistole, mitragliatrici leggere e pesanti, granate, dinamite, bombe a grappolo, persino mezza dozzina di carri armati. Ai lati del campo due megaschermi trasmettono tutti i derby dal 1908 a oggi, focalizzandosi sui peggiori momenti di merda per le due squadre.
Alle 14:00 il fischio d'inizio. I cancelli vengono chiusi a tripla mandata e succeda quello che deve succedere. Per cinque giorni nessuno può entrare, nessuno può uscire. Dopo si entra a raccogliere i morti, e la settimana prossima si fa Roma-Lazio, o Inter-Milan. E così via fino a risoluzione del problema.
All'epoca mi sembrava una buona idea, ma nessuno mi diede ascolto. Io, comunque, continuo a sperare.

Ad ogni modo, pagai, presi il quinto mojito e tornai sulla spiaggia a guardare le stelle, i quasar, i pianeti e il cielo nero come la pece.

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